Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne



Oggi non è una “ricorrenza” qualunque nel calendario della scuola: il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dalle Nazioni Unite nel 1999.

La data ricorda tre giovani donne, le sorelle Mirabal, attiviste politiche nella Repubblica Dominicana, che il 25 novembre 1960 furono sequestrate, stuprate e uccise dal regime per aver osato opporsi alla dittatura. Da allora, in tante parti del mondo, questo giorno è diventato un momento per dire insieme una cosa semplice e radicale: la violenza sulle donne non è un fatto privato, è una violazione dei diritti umani.

1. Perché siamo qui, a scuola

Potrebbe venirvi spontaneo pensare: “Ma cosa c’entra questo con noi, con la nostra scuola tecnica, con la nostra vita di tutti i giorni?”

C’entra, e moltissimo.

Perché la violenza sulle donne non comincia con il fatto di cronaca che vediamo al telegiornale. Quello è l’ultimo gradino, il più estremo. Prima ci sono:

- le frasi umilianti, le battute “per ridere” sul corpo, sull’orientamento, sulla libertà di una ragazza;
- il controllo: “Fammi vedere il telefono”, “Con chi stavi?”, “Se esci con loro, tra noi è finita”;
- la gelosia trasformata in possesso;

- le offese e l’odio che passano dai social, dalle chat, dai gruppi.

Tutto questo costruisce un ambiente in cui diventa normale che una donna abbia meno libertà, meno voce, meno sicurezza.

2. I numeri, che non possiamo ignorare

Per capire che non stiamo parlando di teoria, basta guardare qualche dato.

Nel 2024 in Italia le donne uccise sono state 113, e in 99 casi l’omicidio è avvenuto in ambito familiare o affettivo; di queste, 61 sono state uccise dal partner o dall’ex partner.

Questo significa che, per tantissime donne, la casa non è il luogo più sicuro, ma il luogo dove si corre il rischio più grande.

E non parliamo solo dell’Italia: a livello globale, indagini dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dicono che una quota enorme delle violenze subite dalle donne avviene proprio da parte del partner o ex partner.

Dietro ogni numero c’è un volto, una storia, una vita che non c’è più. Se oggi ci fermiamo, lo facciamo per non abituarci mai a considerare queste storie come “normale cronaca”.

3. La violenza ha molte forme

Quando sentiamo “violenza”, pensiamo subito alle botte. Ma la definizione delle Nazioni Unite parla di “qualsiasi atto che provochi o possa provocare sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, comprese minacce, coercizioni, privazione della libertà, nella vita pubblica o privata”.

Questo significa che sono forme di violenza anche:

- insultare, umiliare, ridicolizzare una ragazza, dal vivo o online;

- diffondere foto private, commenti sessualizzati, pettegolezzi sul corpo o sulla vita affettiva;
- controllare ogni movimento, imporre con chi può uscire, come deve vestirsi, cosa può o non può fare;
- isolarla dalle amiche, dagli amici, dalla famiglia;

- usare il denaro come strumento di ricatto o controllo.

Oggi la violenza passa spesso anche attraverso il digitale: chat, gruppi, social network, condivisioni non consensuali di immagini o video, commenti di odio.

4. Un messaggio in particolare ai ragazzi

Vorrei rivolgermi con particolare chiarezza ai ragazzi, ai maschi della nostra scuola.

Non perché “i maschi siano cattivi”, ma perché la grandissima parte delle violenze sulle donne è agita da uomini. Questo non ci colpevolizza in blocco, ma ci chiama in causa in modo speciale.

La domanda da farsi non è: “Io sono uno che picchia?”

La domanda vera è:

“Che tipo di uomo voglio diventare?”

- Un uomo che ha bisogno di controllare, di dominare, di far paura?

- O un uomo che sa mettersi in discussione, che sa chiedere scusa, che sa accettare un “no”, che non misura il proprio valore sul potere che ha sulle altre persone?

La violenza non nasce da un giorno all’altro. Nasce spesso da una cultura in cui:

- la ragazza è “la tipa di…”, una specie di proprietà;

- la virilità è confusa con il possesso, con la forza, con la mancanza di emozioni;
- chi denuncia viene deriso, chi chiede aiuto viene giudicato.

Cambiare questa cultura è responsabilità di tutti, ma in modo particolare degli uomini. Significa che:

- se in un gruppo qualcuno manda una foto o un commento pesante su una compagna, posso scegliere di non ridere, di non alimentare;

- se un amico è ossessivo, controllante verso la propria ragazza, posso parlargli con franchezza e suggerirgli di farsi aiutare;

- se vedo una situazione che mi preoccupa, posso non voltarmi dall’altra parte.

5. Il ruolo della scuola

La scuola non è solo un luogo dove si fanno verifiche e interrogazioni.
È – o dovrebbe essere – una comunità di persone in cui ci si educa a stare al mondo.

Come dirigente vi dico con chiarezza: in questa scuola non è accettabile nessuna forma di violenza, né fisica né verbale, né online né offline. Non è accettabile:

- prendere di mira una compagna o un compagno con battute pesanti o allusioni sessiste;

- condividere materiale umiliante;

- tollerare insulti legati al genere, all’orientamento, al corpo, al modo di vestire.

Ma non basta non fare il male.

Vogliamo anche imparare a costruire il bene: relazioni fondate sul rispetto, sull’ascolto, sulla capacità di riconoscere i limiti dell’altro, sul consenso.

Molti dei percorsi che state facendo – di educazione civica, di educazione digitale, di educazione all’affettività e al rispetto – servono proprio a questo: dare parole, strumenti, consapevolezze per vivere relazioni più libere e più giuste.

6. Chiedere aiuto non è mai una vergogna

Può darsi che, tra le persone che ho davanti, ci sia:

- chi subisce forme di violenza o di controllo in famiglia o in una relazione;

- chi assiste a violenza;

- chi si sente bloccato in una situazione che fa paura.

Se è così, voglio dirvi una cosa con molta forza:

Non è mai colpa vostra.

Non siete voi a dovervi vergognare.

Chiedere aiuto non è un fallimento, è un atto di coraggio.

Nella scuola potete rivolgervi ai vostri docenti di riferimento, ai coordinatori, alle figure che si occupano di benessere, bullismo e cyberbullismo, allo sportello d’ascolto, se presente.

Fuori dalla scuola esiste il numero nazionale 1522, promosso dalla Presidenza del Consiglio – Dipartimento per le Pari Opportunità: è gratuito, attivo 24 ore su 24, risponde con operatrici specializzate, garantisce l’anonimato e può orientarvi verso i centri antiviolenza e i servizi del territorio.

Si può chiamare per sé, ma anche per chiedere un consiglio su come aiutare un’amica, una vicina, una parente.

7. Che cosa portare via da questo 25 novembre

Non vi sto chiedendo di uscire di qui “tristi”.
Vi chiedo piuttosto di uscire un po’ più consapevoli e forse anche un po’ più responsabili.

Se oggi, dopo questo momento:

- fermerete una battuta sessista prima che venga pronunciata;

- deciderete di non inoltrare un meme o un video umiliante su una ragazza;

- parlerete con qualcuno di una situazione che vi preoccupa;

- o, semplicemente, comincerete a farvi qualche domanda sul vostro modo di stare nelle relazioni…

allora questa giornata avrà avuto senso.

La violenza contro le donne non finirà domani.

Ma può cominciare a finire ogni volta che qualcuno, in una classe, in una chat, in un gruppo, sceglie la strada del rispetto invece che quella del disprezzo o dell’indifferenza.

Vi ringrazio per l’ascolto.

Vi chiedo ora qualche istante di silenzio, per pensare a tutte le donne cui è stata tolta la voce, e per decidere, ciascuno dentro di sé, che tipo di persona vuole diventare.


contro violenza donne

contro violenza donne

contro violenza donne

contro violenza donne

contro violenza donne